Muore Gerardo Marotta e noi non possiamo fare altro che chiedere dell’umano. Chiederci che fine ha fatto, che cosa è esattamente. Per lui era “il fondamentale”, la base di ogni sapere, dell’umana ricerca e della ricerca dell’umano. Qualcosa che riguarda il nostro stare al mondo, la qualità della nostra vita, della pasta di ciò che siamo. Sapeva che solo attraverso la cultura lo possiamo nutrire e che solo da questo nutrimento possono nascere relazioni sane, una politica onesta, una scienza grande e profonda. Dalla fonte da cui sceglieremo di bere decideremo che cosa essere: dimentichi di noi stessi e di ciò che ci sta intorno o rammemoranti. Tra Lete e Mnemosyne abbiamo sempre tra le mani il gomitolo del nostro destino e lui voleva che questa piccola porzione di possibilità non fosse sprecata. La generosità era tutta concentrata nel suo volto, nella sua straordinaria capacità di darti un’attenzione totale e rivolta proprio a te. Con lui mi sono sentita sempre “importante” e dopo le nostre conversazioni uscivo più leggera, appassionata e convinta più che mai di quello che facevo. Anche quando sembrava distratto, avvolto dallo spessore delle coperte, non perdeva mai un colpo. Tanto che una volta che andai a trovarlo a casa sua per parlargli delle mie ricerche, di ciò che stavo facendo, vedendolo appisolato, smisi di parlare per non disturbarlo, ma lui prontamente mi disse: “continui, Tarantino, la sto seguendo e ascoltando con interesse”. E mi ridava il filo su cui mi ero interrotta. Ognuno/a di noi che l’ha conosciuto e frequentato porterà sempre con sé un pezzo di questo grandissimo uomo. Grazie carissimo avvocato, grazie soprattutto per il bene enorme che mi hai dato.